Spunti di carita’

Incontro con Don Luigi Negri

La sfida dell solidarietà

23 maggio 2003

 

Introduzione Kuki e Emilia

 

 

Angela

L’esperienza che io faccio all’interno del Banco, insieme ad altre persone, è quello dello sportello che è aperto tutte le settimane al giovedì in via Marconi. Qui incontriamo le persone che si rivolgono a noi per il bisogno che li spinge a bussare: il bisogno alimentare. La prima esperienza quindi che noi facciamo è quella di incontrare una persona carica di problemi e quello che ci muove immediatamente è la compassione, nel senso etimologico della parola, perchè o patiamo insieme a loro nel momento in cui ci raccontano o altrimenti saremmo degli ascoltatori che registrano e basta. I problemi sono talvolta veramente pesanti. La prima cosa che dobbiamo fare è porre il nostro aiuto senza pretesa di soluzione perchè non abbiamo né gli strumenti né le possibilità di essere risponsive delle molteplicità dei problemi che ci vengono presentati. Madre Teresa l’ha sempre detto: noi siamo come goccia in un mare, cioè una piccola possibilità, un’offerta di ascolto, di amicizia, di una possibilità di aiuto, che in fin dei conti poi non portiamo no,i perché ci sono i volontari che aiutano personalmente le persone che noi incontriamo. Un’altra cosa che impariamo continuamente è la mendicanza, che questa gente ci testimonia venendo a chiedere. Ma noi siamo altrettanto capaci, ci chiediamo spesso, di chiedere e mendicare il senso del tutto che ci viene dalla nostra vita? Tante volte, dico per me, mi sento un po’ insufficiente nella risoluzione dei miei problemi, mentre queste persone che si affacciano alla nostra porta per chiedere, mi insegnano che cosa vuol dire anche nella mia vita il chiedere. Una volta al mese raccogliamo i le situazioni delle persone che incontriamo e ragioniamo insieme sul da farsi. Anche questo è un aiuto grandissimo che ci diamo, dico le 4 persone che fanno lo sportello, perché dobbiamo come mettere in comune un giudizio. Talvolta abbiamo opinioni diverse che ci vengono dall’educazione e da esperienze diverse che abbiamo avuto, ma lo scopo è quello di arrivare ad un giudizio comune, perché in qualche maniera questo è credito che ci chiediamo l’uno all’altro e in un certo senso tale giudizio matura cercando di avere il cuore grande, perché ci sentiamo consapevoli di fare un gesto  più grande della nostra persona. L’altra cosa che facciamo è la collaborazione costruttiva che siamo riusciti a fare con tante altre realtà che vanno dalla comunità di Comunione e Liberazione cui appartengo, alla Caritas, alla San Vincenzo, alle parrocchie, alle assistenti sociali, collaborazione con tutte quelle persone che in qualche maniera condividono con noi il carico di quella povertà che è sempre crescente nella nostra società.

Serenella

Anche io faccio il banco da un po’ d’anni e sostanzialmente nell’arco di questi anni ho seguito tutte le sue fasi.In questi ultimi mesi mi sto dedicando maggiormente alla fase della confezione del pacco con ragazzi giovani al sabato mattina. Rispetto alla mia esperienza mi sto accorgendo che mentre all’inizio è nato tutto come una spontaneità a fare qualcosa di bene, pian pianino il banco, e tutto quello che esso implica nell’organizzazione e nel rispondere al bisogno quotidiano, mi ha sempre di più chiesto una responsabilità.  Come dice Angela, noi incontriamo gente che ci chiede un aiuto e dall’altra parte, pur essendo inadeguata, mi sentivo di poter dedicare del tempo ad una parte con la coscienza della responsabilità verso le persone che attendono il mio aiuto, dall’altra mi sono accorta che pian pianino il tempo che dedicavo e dedico a quest’ opera serve sempre di più anche a me. Di fatto la cosa particolare che in questi ultimi tempi è che io lavoro tantissimo, che non ho quasi mai tempo e a volte la prima casa che a volte vorrei togliere rispetto al profitto o al riscontro pratico della mia vita è proprio il tempo dedicato al Banco. Se non fosse che mi sto accorgendo che questo mi sembra un luogo privilegiato, perchè in cui tutto quello che facciamo la pensiamo “ tenendo conto della totalità dei fattori”, detto con una frase un po’ fatta. Nel senso che la cosa che mi sta aiutando tantissimo lavorando e dall’organizzazione della grigliata o nel pensare alla composizione del pacco alimentare tengono conto delle varie composizioni di pelati, piuttosto che l’attenzione alla famiglia i etc,  mi sto accorgendo che ogni gesto in quest’opera è attento a tutto. Questa cosa l’ho scoperta su di me, ma mi sto accorgendo che diventa proprio lo stesso desiderio degli altri ragazzi che fanno con me la confezione e la distribuzione dei pacchi. Di fatto il turno che facciamo noi al sabato non è altro che avere una scheda in mano con un nome in codice che non ci dice sostanzialmente nulla sulla famiglia ed un elenco di generi alimentari da confezionare con una determinata logica. Il tutto potrebbe essere asettico e mi rendo conto anche con i ragazzi con cui lavoro che invece c’è un’attenzione: ogni scheda è personalizzata perché c’è indicato se ci sono bambini o se ci sono problemi alimentari, e facendo questo gesto con i ragazzi al sabato, mi accorgo dell’attenzione che tanti di noi hanno nel comporre questo pacco: per esempio l’attenzione a dare le caramelle se ci sono i bambini o le merendine al posto dei biscotti secchi. E’ una cosa che mi ha stupito tantissimo proprio perché c’è gente che viene solo un sabato al mese e quindi non ha modo di avere quel moto di compassione che puoi avere nell’incontrare fisicamente la persona, ciò nonostante sorge un amore ed un’attenzione che mi stupisce. Mi stupisce tale attenzione anche nell’intelligenza quando viene fatta la distribuzione: quando ci sono problemi di organizzazione, tutto suscita un’attenzione ed un amore che, a meno per quello che a me capita, sto imparando stando con la gente che sta facendo quest’opera.

Detto questo avrei una domanda: mi rendo conto che facendo questo gesto e partecipando poi alla vita del Banco è come se fosse un luogo privilegiato, come se in fondo fossi accompagnata stando insieme a questa gente e per me è più facile tener conto di tutto e fare le cose con un respiro più ampio, mi sento contenta. Il problema mio però poi è la vita quotidiana, il lavoro che faccio, il rapporto con le persone. Nel senso che se questo è un luogo privilegiato, lontana da qui o distratta dalle cose di tutti i giorni, non è così facile avere con la stessa facilità una dedizione alla vita. Quindi se da un lato non posso fare soltanto il banco, dall’atro però vorrei che questa esperienza si riproponesse con i clienti, con i colleghi, con i famigliari e gli amici. La domanda che faccio è proprio questa: capire un po’ di più come nella vita quotidiana questo desiderio di senso può essere tenuto vivo e anche trovare aiuto.

Elena

E’ da un po’ che non faccio il banco, ma non per questo la mia vita è meno piena di gesti di carità, perché nel lavoro incontro malati e persone che hanno bisogno e hanno piacere di avere una persona che li ascolti, per cui questo moto di compassione lo provo tutti i giorni. Persone che sanno che collaboro o che ho collaborato con realtà di volontariato e che mi chiamano per aiuto, però d’altro canto ho come una forte nostalgia nei confronti del gesto che facevo con il Banco. Vorrei sapere è giusto e cosa vuol dire che il Banco è un luogo privilegiato. Perché sento che mi manca qualcosa?

Don Negri: L’esigenza più profonda che si ha sempre è quella di capire in profondità la logica dei gesti che si compiono. Quindi non è un allargamento di discorso astratto: oltre il banco c’è la Messa, che è ovvio, oltre il Banco c’è la famiglia. Non è questo. A mio parere si tratta di capire, di svolgere la metodologia d’educazione di noi che c’è in questo gesto. La metodologia educativa deve tendere non prima di tutto ad un perfezionamento tecnico del gesto, che può essere anche l’esigenza giusta che le cose siano sempre più efficienti, sempre più convincenti, sempre più facilitate. Non è che deve tendere alla perfezione tecnica, ma deve consentire al soggetto che vive questo gesto di svolgere tutta la potenza di cambiamento dell’intelligenza e del cuore che questo gesto ha dentro. La connessione tra questo luogo privilegiato, perché sono convintissimo che si tratti di un luogo privilegiato, che tra quelli che l’ hanno portato avanti l’ hanno portato avanti obbedendo sinceramente ad una sorpresa, questo gesto è straordinario per me, mi mette in condizioni di fare cose, mi realizza, mi esprime. Lo sforzo della capacità educativa che questo gesto ha dentro è che quel che si impara facendo questo gesto diventi la mens, la mentalità, con cui uno fa tutto. Quando abbiamo fatto il per i primi 2 mesi la caritativa nella bassa milanese negli anni 1959-61, il povero cardinal Montini ci mandò e chiese di operare insieme agli universitari perché non aveva preti per i bambini per il catechismo. Non si rendeva conto che non eravamo capaci di fare il catechismo. Infatti siamo andati a stare con questi bambini molti anni, e dopo che avevamo cominciato da un mese-un mese e mezzo abbiamo fatto un consuntivo e risultava chiaro che se il modo con cui stavamo con i bambini era facilitante nel senso dal loro bisogno (facilitante dal fatto che si stava insieme qualche ora a giocare con loro, neanche così comodi perché d’inverno non c’erano neanche le sale in queste parrocchie povere della cintura che rimaneva delle zone agricole intorno a Milano verso sud o verso ovest, non c’era neanche un luogo, questi poveri preti non avevano neanche una stanza dove portare i bambini per cui stavamo all’aperto sotto l’acqua o la neve) quello che abbiamo imparato sorprendentemente: che l’uomo vive realmente se condivide: vivere e condividere. Vivere non è affermare se stessi contro gli altri, cercando di ridurre l’altro a sè, può essere la moglie, i figli o la gente con cui lavori. Vivere vuol dire aprire la vita alla possibilità dell’altro, vivere e condividere ce lo portavamo nelle nostre aule di scuola dove vivevamo dal lunedì al sabato. Lentamente, quasi senza che lo avessimo previsto, come sorprendendoci dall’interno cominciavamo a guardare in maniera diversa quello che ci stava accanto. Cominciavamo a guardare in maniera diversa i nostri amici, i nostri insegnanti, come gente da condividere, con cui in qualche modo educare lo stesso atteggiamento. E la condivisione era la condivisione dell’altro nella situazione persino di contrasto, se convidevamo il nostro professore, se cominciavamo a condividere il nostro professore questo significava aprirsi alla totalità della sua vita, che è un mistero. Ma con questo anticiperei un tema che mi è stato suggerito dai vostri interventi. Il pacco che fate voi è comunque fecondo per una persona. Attraverso la risposta ad un bisogno specifico che quando urge è centro sentito come totalizzante (quando uno ha fame è inesorabile che uno senta la fame come il bisogno) incontrando noi che rispondiamo al bisogno incontra un mondo, incontra il mistero della vostra persona e voi gli portate il mistero della sua persona. La carità non è dare a lui da mangiare, la carità è che attraverso il dare a lui da mangiare  si stabilisca questa connessione tra la sua umanità e la vostra. Dove questo può portare nessuno può dirlo. La carità è questo: non è la risposta generica a bisogni anonimi, la carità è l’incontro con persone, la condivisione della totalità della vita dell’altro a partire da questa circostanza di bisogno che è privilegiata perché è evidentemente un bisogno oggettivo a cui se si può si deve rispondere secondo perché può essere facilitata dal temperamento che uno ha o dalle condizioni in cui uno vive. Può essere un temperamento che si sente mobilitato in questo senso o può avere del tempo libero da dedicare a questo. Però, condividere i miei professori di filosofia o di latino non voleva dire non aprire la polemica con quello con cui insegnava. La carità,che vuol dire condividere l’altro, vuol dire condividere l’altro nella sua diversità e se la sua diversità è una cultura diversa la carità deve tendere a evidenziare tale diversità, e se la condivisione dell’altro mettesse in evidenza la sua disonestà come insegnante, come educatore…. noi abbiamo scritto le schede, ma era lo stesso anno in cui abbiamo fatto le schede di religione quello in cui sia andati in bassa. La condivisione è che io getto il mistero della mia vita nelle tue braccia e cerco di abbracciare con le mie braccia il tuo mistero nella consapevolezza di quello che porto e nella consapevolezza di quello tu attendi. E tu puoi non avere la consapevolezza di quello che attendi. Per rispondere all’intervento, il signore Gesù ha detto: “ non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Il Signore ha dato da mangiare a quelli che avevano fame, ha guarito i malati e resuscitato l’amico che era morto, ma nella polemica  con i giudei ha detto” voi mi seguite perché vi ho dato del pane , non per la parola che io porto, non per la proposta che io sono”. Perciò non possiamo nell’incontro non desiderare di comunicare la risposta alla totalità del bisogno. La totalità del bisogno è il bisogno della felicità, del senso. Ti do il pane perchè placato il bisogno di pane, perché si tratta in molti casi, l’uomo possa aiutato a guardare tutta la vastità della sua serie di problemi. Il problema della vita no  è che tutti i particolari vanno a posto, cominciando dalla fame e finendo all’istruzione, al tempo  libero o alla sessualità. La felicità non è che uno abbia la possibilità di rispondere in maniera operativa a tutti i bisogni, reali o indotti dalla vita. Il bisogno dei bisogni è che non sa chi è. Io gli ho dato da mangiare un pane, ma potesse mangiare il Pane; gli ho dato l’acqua, ma per dargli l’Acqua bevendo la quale non avrete più sete. Non dobbiamo sentire come un’obiezione questo scarto. Su 10 persone 9 per anni sembrano accontentarsi che gli date da mangiare e non mettono in gioco sembra che non mettano in gioco la totalità della loro vita e sembra quindi che non emerga mai il bisogno di verità che avete nel cuore e per cui andate verso di lui. Voi andate verso di lui perché a partire da bisogno di pane voi possiate comunicare che avete un pane che non perisce e loro hanno bisogno di un pane che non perisce . Possono esserci anni in cui sembra che succeda nulla, con alcuni non succederà mai nulla, benissimo la condivisione di 2 persone è nella condivisione di libertà.  C’è una libertà che risponde ed una che non  risponde, c’è una libertà che risponde in un certo tempo ed un’altra che risponde un tempo maggiore, una libertà che si coinvolge tutta ed una che lo fa solo superficialmente. Allora il problema fondamentale è come noi ci educhiamo. Primo a fare questo gesto sempre + oggettivamente umano e cristiano, dove il particolare è assunto, non ideologicamente, è nel modo con cui mi coinvolgo per dargli il pane che deve sentire che gli vorrei bene anche se non avesse + bisogno del pane che gli porto. Continuerei a volergli bene anche se non avesse + bisogno e comunque certo che lo esaudisco in un particolare, ma il mio desiderio sarebbe di dirgli la totalità di vita e significato. Primo dovere è dunque come possiamo essere sempre + cristiani nel compiere questo gestori carità Cristiani vuol dire motivati dalla nostra fede nel Signore e densa la… di lui, questa  rende cristiana la carità qualsiasi altra cosa non è carità perché non ha le radici in cristo e non tende a comunicare Cristo.San Paolo è stato terribile nel  XIII capitolo della I lettera ai Corinti che in questo moralismo sociologico che impera nella santa chiesa di Dio viene dimenticato: uno può dare il corpo alle fiamme ma se non ha la carità..

come essere sempre + cristiani? secondo aspetto della nostra educazione è come questo gesto  privilegiato forma la nostra personalità, quindi come  il  nostro quotidiano è investito da questo gesto, come il quotidiano raccoglie la specificità di questo gesto in modo che tale gesto tenda a formare un modo di guardare la realtà, gli uomini e le cose permanentemente + caritatevole e perciò + vero. Al carità è la verità dell’uomo e delle cose, è il modo di vivere di dio che diventa modo di vivere dell’uomo. La carità  è la verità della vita, del come si vive.

Vado incontro ad un altro dandogli un pezzo di pane perché un Altro mi ha incontrato e mi manda nel mondo. Io non faccio il Banco alimentare perché non è questa la mia condizione , ma il Banco alimentare per me è dare qualcosa a tutti quelli che mi chiedono in metrò, in questo sono uno stupido perché forse ne hanno più di me. Può capitare di trovarne 5 o 6 da Corvetto a Cadorna e 4 o 5 dalla metro alla Cattolica  si approfondisce in me la certezza che anche  questo gesto non può non dipendere per me dall’incontro con ilo Signore.

In quel gesto lì anche loro sentano una vibrazione del mistero di cristo , come vivere attraverso questo gesto lo spalancarsi della nostra vita alla loro, questo vuol dire che partiamo dalla certezza di essere stati incontrati e tentiamo di svolgerne il grande incontro della vita.Non possiamo non desiderare che provocati dal miracolo che è una cosa come quella che avete messo in piedi, provocati da questo miracolo questa gente si chieda: “ perchè sono così, perché fanno questa cosa” e provocati da questo miracolo, non tutti ma magari qualcuno possa percepire l’origine, l’incontro da cui partite e che desiderate che essi entrino. Secondo è come il privilegiato diventi quotidiano.Cara amica ti ha già risposto Giovanni Paolo II” era necessario che l’eroico diventasse quotidiano perchè il quotidiano diventasse eroico”.L’eroico nella tua vita è questo momento privilegiato, perchè veramente eroico è Dio, l’eroico è Cristo. Ma perché questo è il moneto privilegiato? Perché è evidente che questo non lo faresti mai se non per il Signore per questo eroico , che  è il momento privilegiato del Banco, … l’atteggiamento con  uno guarda te e guardi gli uomini, l’atteggiamento che implica una concezione totale della vita. La cultura è la coscienza che uno ha di sé allora che la carità diventi la coscienze che uno ha di se e che questo coscienze che uno ha di se e degli altri uno riesca a giocarla in tutte le circostanze della vita, anche quando non sono eccezionali, perché l’eccezionale è il Banco, Il privilegiato diventa quotidiano se uno ritrova tutti i giorni la carità come dimensione fondamentale della sua coscienze. Diventa quotidiano perché la Carità che è un fare, che si sorprende in un fare, questa carità che colleghiamo ad un fare ci aiuta nel quotidiano se si insedia nella coscienze se diventa modo di sentirsi. Io mi sento oggetto della carità di Dio , perciò  sento che accade che intorno a me come da condividere in nome  di Cristo e del privilegio del  fatto io sono aiutato a concepirmi in modo caritatevole verso di tutti: vivere è condividere.

Testimonianza:

sono Vera e vengo dall’Albania, quando sono venuta in Italia nel ’97 con lamia famiglia, con 3 bambini e non avevo nessun appoggio da nessuna parte, sono andata in chiesa a Cascinetta e ho incontrato Don Virginio. Tramite lui ho incontrato questa società che mi ha aiutato in tutti i modi, non solo me ma tutta la mia famiglia, quasi 50 persone tra fratelli sorelle , e ringrazio perché tutti lavoriamo e nessuno di noi è disoccupato, tutti hanno la loro casa ed i figli hanno cominciato a studiare e sono integrati come tutti gli altri. Ringrazio tutti per noi è diventato perché io ho sofferto per un pezzo di pane,magari nessuno di voi sa cosa vuol dire alzarsi la mattina  e sentire i bambini che chiedono da mangiare e non hai nulla da dare loro e non perché non vuoi ma perché non hai possibilità, invece grazie a loro no solo per me, ma tutti i miei hanno trovato il pane, hanno trovato amore, hanno trovato tutto quello che si poteva dare, non solo a me ma a tutti, Io ringrazio loro e dico che davvero ha ottenuto il signore che  ha detto questa società è un miracolo. Per noi extracomunitari è un miracolo……

Vera è stata una  delle prime amiche che abbiamo incontrato e adesso al cosa si è ribaltata, se adesso abbiamo bisogno di trovare un  lavoro a qualcuno, lei conosce tutti in Gallarate e riesce a trovare un posto di lavoro a tutti.  Siamo noi che ringraziamo lei perché noi abbiamo trovato una persona, una famiglia che ci affianca.

Assunta:

volevo raccontare quello che facciamo e da quest’anno abbiamo cercato di perfezionare e cioè la raccolta dei viveri nelle scuole, perché uno dei  mezzi con cui noi raccogliamo i viveri è quello di proporre la raccolta nelle scuole, dalle materne  alle superiori. Quest’anno siamo andati proprio in tutte le scuole di Gallarate e anche nei comuni limitrofi e tutti ci hanno accolto e dato la dato la possibilità fare raccolte di alimenti,ma quello che abbiamo cercato di fare è anche quello di proporre degli incontri ai ragazzi, si parla di sensibilizzazione , si dice così oggi nella scuola. Cioè la possibilità di incontrare i ragazzi e spiegare loro a quale gesto stanno collaborando, per noi è fondamentale perché significa andare in quell’area che è l’’educazione che va contro questa cultura della barbarie, come si diceva l’anno scorso, dell’indifferenza verso chi ha bisogno. Per cui l’educare proponendo ai ragazzi,spiegando le ragioni, descrivendo come avviene il gesto, facendo capire bene loro che cosa facciamo, ci sembra un modo per andare contro questa logica e per proporre una cultura diversa, ci teniamo a essere presenti noi. Stiamo anche approntando un video perchè le cose possano essere sempre + funzionali e piacevoli, però come faceva presente qualcuno,  bisogna che ci sia la persona, noi vogliamo incontrare i ragazzi, mostrare che siamo persone che vivono secondo una logica diversa  perchè l’abbiamo incontrata e vissuta. Devono sentire e non vedere solo il cartellone o il filmato, devono incontrare qualcuno, così come vogliamo che incontri qualcuno la persona con cui andiamo a …are. L’ultima raccolta che abbiamo fatto è stata a Cardano all’omnicomprensivo che è  una scuola che ha al suo interno 2  elementari, 1 media e materne. L’esito è stato sorprendente da un punto di vista quantitativo: una tonnellata e mezza di alimenti un una settimana, ancor più sorprendente in quanto è luna quantità pari a quello che abbiamo raccolto in una giornata davanti al Gigante. Ancor + sorprendente è stato il proporci attraverso i genitori, che hanno collaborato attivamente facendoci trovare tutto quello che avevano raccolto perfettamente inscatolata, catalogata  e ordinata con cura e ci hanno accompagnato al magazzino a portare gli alimenti e sono rimasti sorpresi di quello che hanno incontrato. Ed il rapporto con i ragazzi: ci hanno dato la possibilità di parlare a tutte le classi delle medie, abbiamo potuto parlare a classi attente, che ascoltavano, cosa oggi non comune, questo perché si sono coinvolti una serie di persone:  i loro professori che sono rimasti lì durante l’incontro che ascoltavano e mostravano ai ragazzi che questo gesto era per loro. Uno di questi professori è qui stasera e ringraziamo attraverso di lui per la possibilità che viene data per incontrare i ragazzi e i bambini perché una logica nuova la si può testimoniare attraverso questo incontro che ci viene dato e ci da modo di andare nella direzione suggerita della cultura.

Loredana:

Proprio prendendo spunto da quello che ci hai detto sull’indifferenza, abbiamo proposto quest’anno un gesto pubblico che vorrei raccontarti. Con il tentavo di educare alla veritò dei rapporti abbiamo cominciato a luglio a mettere in piedi una mostra con i ragazzi di GS e con diapositive, ci siamo procurati magliette con il simbolo del Banco, sacchetti stampati, volantini e locandine tutto questo perché a settembre abbiamo fatto una settimana in piazza centrale a Gallarate organizzata così:- una quarantina di ragazzi si sono dati da fare per un0inmtera settimana, prima portando in tutte le case, porta a porta un volantino ed un sacchetto in cui si chiedeva di offrire generi alimentari, e poi aiutati dai + grandi con le macchine,che avevano pianificato la divisione delle vie per non sovrapporsi, per riuscire ad arrivare da tutti,in tre giorni hanno raccolto tutto quello che portavano in piazza sotto un tendone dove avevamo allestito la mostra , e lì si incontrava tutta la gente che passava, che portava il sacchettino personalmente. Abbiamo coinvolto anche i bambini + piccoli, perché abbiamo pensato per i bambini delle elementari e delle medie un gesto semplice: offrire ai passanti, a tutte le persone che erano nei bar della piazza una serie di buoni con i quali simbolicamente si acquistava un kg di zucchero, di farina etc. quindi i nostri bambini erano sguinzagliati dalle nonne ben intenzionate. Mi ha colpito molto vedere attivi i ragazzi di tutte le età. Poi la sera abbiamo fatto un incontro alla cittadinanza ed un momento di musica tenuto dai ragazzi + grandi. Quello che mi ha colpito è stata questa presenza di popolo che dal piccolo al grande all’adulto si sono trovati insieme a fare una cosa che sicuramente ci ha cambiati perché io ho visto con grandissimo stupore tutti e 3 i miei figli coinvolgersi molto: dal piccolo, a quello che fa le medie che ha  voluto la maglietta ,ed il maggiore che la domenica mattina, giornata di pioggia, per essere a messa prima di finire di fare l’ultima giornata è arrivato a piedi da casa è questo è stupefacente conoscendo il tipo. Un gesto semplice educa ma provoca, perché dobbiamo proporre quest’ansia che può aiutare tutti.

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Quest’anno mi è stato riproposto dalla preside di tornare ad insegnare a ragazzi  che in prima e seconda hanno 18-20anni, tanto per aver presente che scuola sia. La prima cosa dettami entrando in classe era che non sarei resistita una settimana, tanto per fare capire con chi avevo a che fare. Siccome mi prendo molto a cuore quello che faccio pensavo a come fare emergere attraverso me un’umanità diversa, a far capire loro che c’era un modo diverso di stare a scuola e stare tra di loro. Parlando con le amiche della scuola di comunità e della fraternità è emersa l’esigenza del banco di qualcuno che al  giovedì andasse a scaricare frutta verdura etc. allora ho proposto questo gesto a tre ragazzi maggiorenni di una classe: perché non venite con me  una volta al mese e la loro reazione è stata chiedere cosa era   etc. Uno era il  bulletto di periferia, rapato, con la cresta, l’altro era il fighetto della situazione, e l’’atro ancora l’intellettuale di sinistra, quello che attaccava sempre, che provocava. Sono arrivati la prima volta e Emilia che era lì con me lì ha subito inquadrati: qui si lavora si fa così e così ed io che pensavo che la prossima volta non sarebbero + venuti. e invece adesso sono le persone + affezionate e verranno alla grigliata ma la cosa + sorprendete è stato il mio cambiamento nel fare questo gesto che è quello di non essere + noi i protagonisti del gesto del facciamo ma è qualcuno che veramente ci fa, e l’attaccamento a questa cosa scatta automaticamente e tu non vuoi esser il centro dell’attenzione  quindi la persona + brava perché propone queste cose, adesso per queste persone sono riconosciuta per questo per la mia umanità, no perchè sono brava ad insegnare la matematica.

Don Negri:

quelloche

è stato proposto dagli interventi xciò non è un discorso che si sovrappone ma che viene fatto

Noi dobbiamo andare progressivamente in profondità in ciò che viavuiamno. Capire sempre + profondamente quello che viviamo perché sia sempre di + un gesto in cui è implicata la totalità della mia persona, e perciò proprio pechè è implicata la totalità della mia persona  chiama in causa la totalità della persona dell’altro. Un gesto ridotto risponde ad un bisogno immediato, non chiama in causa la totalità della persona. Un gesto in cui gioco la totalità della mia vita, un gesto particolare in cui gioco la totalità della mia vita urta la realtà della vita dell’altro. Questa sera cerco di raccogliere una serie di sollecitazioni, almeno come le ho sentite io, che colleghino il momento che avete vissuto quest’anno a quellod ell’anno scorso ed in qualche modo proponga  un passo successivo.

Sulla prima osservazione fondamentale: proporre il gesto del manco e coinvolgervi anche i giovani o quelli che si incontrano è una grande proposta di cultura umana alternativa. Invece di rincretinirsi davanti alla televisione o stare insieme  senza dirsi nulla a cavallo di moto o muretti. Non è un altro gesto diversi che può avere l’aspetto dell’estrosità. Non è un gesto diverso che può avere anche l’aspetto della novità, o dell’estrosità , ma

Lentamente questa cosa fa vedere cose che non hai mai visto: che la vita dell’uomo non è solo consumismo: c’è una povertà tra la gente che è a scuola con te,c’è gente che ha fame ed ha bisogno che tu gli dia da mangiare e non sono agli angoli delle strade sbilenchi o disastrati. Sconvolgente per un ragazzo rendersi conto che c’ è la povertà e non astrattamente. La povertà è un fatto. Fa perno0 sui sentimenti, partecipare come hanno partecipato questi ragazzi a questa settimana  renderà loro meno facile considerare l’esaudimento di tutti i loro desideri è l’unica cosa che importa. Lo terrà dentro un po’, gli impedirà di pensare che debbo avere tutto quello che desidero subito.  E che il perno della vita è avere quello che la pubblicità sollecita tutti i giorni imponendo come bisogno necessario quello che è il + delle volte è un desiderio artificioso quando non insano. E’ una discussione fatta in concreto su quello che è la vita. Andare a fare quella cosa lì vuol dire mettere in crisi la cultura consumistica ed individualistica e istintiva che è la mentalità dominante che attraverso i mezzi della comunicazione sociale e la scuola arriva a tutti,  viene imposta a tutti. Il primo aspetto impressionante di quello che l’altra volta ho chiamato cultura è che il gesto contiene la cultura che deve essere esplicitata innanzitutto deve  essere esplicitata a quella età della vita che ha +  bisogno di cultura, l’età della vita che ha +  bisogno di cultura è quella educativa, che ha + bisogno cioè di capire di cosa è fatto l’uomo, di che cosa è fatta la realtà, di quali sono i  veri bisogni dell’uomo, quale è la legge secondo cui si svolge la realtà. Implicarli nel gesto è stato intelligentissimo primo perché spieghi i significati nel fare e educarli non semplicemente alla generosità, ma attraverso la generosità e possano progressivamente capire che la vita è molto diversa da quello che pensano guardando la televisione  o trovandosi tra loro. La vita non è un possesso, la vita non è una reazione istintiva, un egoismo,è un dialogo con il mistero e con gli uomini. Facendo il pacco si comincia il cammino verso questo, si può non arrivare mai, ma questo  è l’inizio di un cammino netto: l’adulto chiamato a fare il gesto particolare introduce in un cammino: questa è la cultura-

Seconda sottolineatura già formulata nella prima reazione:  a che condizioni questo gesto è gesto di _____, a che condizione non si  riduce in noi, non diventa una tecnica, un gesto astratto dalla totalità dei fattori che lo sostengono. IO dico che tale gesto è cristiano se nasce per un incontro e tende ad un incontro. Se nasce in noi dall’incontro con Cristo con la stessa misura con cui siete stati misurati voi misurate gli altri.  Quale è la misura con cui siamo stai misurai noi? La gratuità. Non solo perché è gratuita la vita, ma è gratuita la fede che è il senso della vita. E’ Cristo che ci butta di fronte gli uomini e che ci lancia verso gli uomini con il desiderio che tutto serva a comunicare Cristo, per favorire l’incontro con Cristo.Allora la circostanza di bisogno quanto + è dura e inesorabile, la fame è la circostanza + inesorabile che esista, come la malattia, non è questione di grandi discorsi. Il bisogno particolare a cui bisogna dare una risposta particolare, concreta, specifica, il pacco, nasce dalla certezza che è Cristo, che l’ultima ragione di questo è quello che ho incontrato, l’ultima ragione non è dirmi se sono capace o che ho i soldi e gli altri non ce l’hanno , io ho l’efficienza e gli altri non ce l’hanno, la ragione profonda è che rispondendo a questo bisogno tento di entrare in comunione con al sua vita e  entrando in comunione con la sua vita desidero incontrare il vero bisogno che sta dietro la fame e la malattia. E’ il vero bisogno che sta dietro anche alla soddisfazione , la richiesta, il vero bisogno è quello del vero del bene del bello e del giusto, cioè il bisogno di Cristo. Vivere è condividere. Ma vivere è condividere è un’intuizione profonda del cuore dell’uomo, ma è una verità radicale solo nell’incontro con Cristo. Perciò bisogna che noi facciamo partire la nostra condivisione dalla condivisione che accettiamo che Lui faccia tra noi. E che si chiama sacramento, perché accettiamo che il Signore continui a condividerci, dobbiamo accettare che lui ci condivida perché così possiamo condividere nel particolare bisogno la vita dell’altro e proporre alla vita dell’altro ciò che può dar senso a tutta la vita. Attraverso la soluzione di problemi particolari non con discorsi astratti. Perché la  carità rende credibile la fede nel mondo. Gli uomini non vedono al fede, la fede la vede Dio,la fede che  ciascuno di noi ha nel cuore la vede solo il Padre che è nei cieli e può vederla dove a noi sembra che non ci sia e può non vederla dove a noi sembra che sia, x questo l’ultimo giudizi sarà una cosa da ridere. Ma nel monda la fede si vede dalla carità. Da una cosa capisco che uno crede in Cristo: dalla capacità che uno ha di condividere l’altro in nome suo. Anche dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete in nome suo, la cosa che viene continuamente eliminata è quel “in nome suo”. Noi non agiamo perché c’è la sete e la fame, noi ci attiviamo alla sete ed alla fame degli uomini perché partiamo  dalla risposta non a quella sete e alla fame  ma alla sete w alla fame dell’Essere, ed è questo che ci rende sensibili alla sete e alla fame dell’acqua e del pane. Che sia un incontro. Attraverso il pacco desideriamo un incontro con la loro persona, e desideriamo implicarci con l loro persona, ma l’implicazione è perchè diamo loro quello che loro non sanno neanche di aspettare. Questa è la carità: condividere l’altro in nome di  Cristo, ma l’altro è una concretezza di circostanze. Allora posso essere sollecitato da un bisogno che mi distrugge: San Francesco d’Assisi rapito da Cristo incontrando i lebbrosi, la cosa + terribile che un uomo del suo tempo potesse fare, lo dice nel testamento” quando  Gesù cristo mi chiamo ad IncontrarLo tramite i lebbrosi”. Tentiamo di condividere la totalità della vita partendo ed implicandoci in circostanze precise, se uno vuole solo il pacco per tutta la vita gli porti il pacco per tutta la vita , non gli diamo il pacco perché voti per noi, condividiamo desiderando che incontrino Cristo, presto o tardi, nella libertà. Questo bisogna salvaguardare altrimenti vi stufate, altrimenti al  venir meno di certi bisogni non viveste + la carità. Invece la carità si vive nei confronti di tutti, quali che siano i bisogni. Carità che nasce ganasce e tende ad un incontro attraverso la condivisione del mistero della vita, io metto in comune con te il mistero della mia vita e cerco di penetrare nel mistero della tua vita o meglio di portare al mistero della tua vita, che sta dietro il bisogno, quello che solo può riempire il mistero della tua vita. La terza sottolineatura : le 2 cose che abbiamo detto adesso c’è la cultura alternativa alla corrente fatta in maniera rilevante implicando le età educative, io ho capito la carità non sui libri ma andando in bassa a 16 anni perchè ci sono cose che si capiscono solo facendo, “qui facit caritatem venit ad lucem” chi fa la carità viene alla luce dice S. Giovanni. Perciò implicare i ragazzi nella caritativa anche se  comincia per loro perché è qualcosa di bello, di un giorno diverso, possono cominciare anche così, ma se sono fedeli incominciano ad attivare un altro modo di vivere soprattutto cominciano a vedere la realtà come è, che non è quella della tv o dei fumetti o del loro parlare di tutto e di niente, perché la vita è dura e la durezza della vita si chiama povertà anche là dove non si vede, sembra non vedersi perché nascosta dalla rispettabilità dell’ambiente, o dalla discrezione  con cui tanta gente tenta di portare la propria sofferenza. C’è una grande azione culturale legata a tutti i gesti di carità , ma diventa enormemente efficace se si gioca nelle occasioni di tutti i giorni. Credono di fare solo manovalanza, ma tra 10 anni capiranno che questa manovalanza li ha  formati nella mente e nel cuore in un altro modo, e saranno molto più sobri. La nostra generazione che è andata in caritativa da giovane non ha bisogno di

Altra osservazione è la cristianità del soggetto che fa la carità. Scorporare il gesto di carità dal soggetto cristiano vuol dire abbandonarsi all’istinto, all’efficienza e alla strumentalizzazione economica, perché ci sono certe forme di assistenza che nella società sono nate per il bessiness, per esempio l’assistenza ai vecchi o ai malati. Scorporare il gesto dalla totale soggettività del cristiano che è l’amore a Cristo e agli uomini in nome su vuol dire ridurre la cosa a una specificità che è di così breve respiro che dopo un po’ stufa , e qualche volta addirittura diventa l’opposto. Per cui dovete essere cristiani per vivere la carità, cristiani vuol dire che la radice del gesto è il vostro rapporto personale con Cristo, e il destino del gesto è che incontrino Cristo anche loro attraverso il pane che gli date, come il Signore che ha datoli pane perché riconoscessero che Lui era l figlio di dio, alcuni lo hanno riconosciuto, la maggior parte no, ma lui non ha detto adesso risolviamo il problema del pane  dopo parleremo d’altro. Ha detto: vi ___ il pane  e faccio capire loro che no  hanno bisogno solo del pane. Proclamare Cristo nei gesti che si fanno, questa è la condivisione della vita dell’altro. In ultimo, il punto su cui lavorare: come il privilegiato diventi quotidiano. Questo gesto è certamente una cosa grande per voi altrimenti non l’avreste fatta, è un fatto di cui Dio si è servito. Il privilegio dalla sua condizione eccezionale deve diventare quotidiano, la questione educativa che è aperta dentro ciascuno di noi è come il quotidiano possa realmente essere investito da questo gesto particolare e come possa essere cambiato e significato. Come la caritativa cambi tutto quello che si fa ed i rapporti. Questo può avvenire se

La carità viene concepita come un fattore di autocoscienza, che senza uno non può concepire se stesso sempre. Se comincio  a capire che vivere è condividere non solo di fronte a quello a cui porto il pacco, di fronte a quello che lavora con me , o quando guarda  mio padre e mia madre, o quando succedono vicende come quella della guerra e vivere e condividere vorrà dire condividere al situazione orrenda delle persone che sono implicate nella vicenda cominciando a dare un giudizio. LA carità diventa quotidiano se diventa un fattore determinante dell’autocoscienze. La carità è il criterio con cui concepirsi e con cui concepire gli altri e quindi  essa è fonte di un criterio giudicante. Perché se l’altro ha un valore assoluto come me non posso clonarlo, perché dentro la carità c’è un giudizio sulla clonazione, sulle manipolazioni genetiche, sulla società puramente consumistica.Vivere e condividere significa affermare l’assoluta centralità della persona , quindi giudicare tutte quelle situazioni in cui invece della persona al centro ci sono interessi, problemi o tensioni che passano sopra o strumentalizzano la persona. Un uomo è dentro nella vita quotidiana  perché giudichi. E’ per il giudizio che son dentro la vita, no perché magio e beve e dormo ma perché ho le ragioni per mangiare bere e dormire. Quindi è la mens, la mens vuol dire che è la carità è il criterio con cui sento me, gli altri e giudico la realtà. Su questo dovete lavorare. I giudizi cui accenavano nell’intervento nella loro particolarità, ma al di là dei giudizi particolari sna che la strada che porta  a questi giudizi. >C’è una strada per tutti i cristiani che porta a questo giudizi: il magistero della Chiesa. Che una realtà di persone impegnate nella carità cerchino di capire la logica  con cui ilm,Papa pone le questioni, non solo le questioni della guerra, ma perchè ha scritto un’enciclica sull’eucaristia  Un tentativo di assimilare la mens del papa che vuol dire la mens della chiesa perché la carità come fattore di autocoscienze diventi il criterio con cui il quotidiano è giudicato dal soggetto che vive, non  dal fatto che esiste solo la carità o solo il lovoro, l’unità è data dal fatto che il soggetto che vive il Banco ed il lavoro è lo stesso, e che cosa getta un ponte tra le due cose?la coscienza che ho di me, Bisogna che al caritativa mi dia la coscienze che il mio io vero è un io che condivide, e perciò la condivisione  è fonte di un giudizio e su questo vi aiutiate ad assimilare le ragioni della cultura che nasce dalla fede e tali ragioni sono normativamenete presenti nel magistero della chiesa, nel magistero del Papa.

Come la carità diventi quotidiano, come il privilegio diventi quotidiano? Che la situazione privilegiata detti una vocazione definitiva, Madre Teresa ha fatto così, ma non è può essere così per tutti. Per tutti un gesto di carità così grande deve diventare una mentalità con cui vivere tutto, se diventa una mentalità non passa +, se è u  sentimento oggi c’è domani non c’è +, se è semplicemente un’attività o un’iniziativa e poi ti ammali e non  sei + in grado è come se perdessi tutto. Se è arrivata ad insediarsi nell’intelligenza, se è un modo con cui guardi il giornale o la persona che ti passa accanto, anche se non hanno bisogno di mangiare, ma lo guardi con l’occhio con cui guardi quello a cui dai il pane da mangiare, tu hai raggiunto la consistenza della tua persona in un criterio nuovo che guida tutto quello che fai . Allora privilegiato e quotidiano si interferisco reciprocamente come i momenti grandi della vita illuminano quelli + scuri ed i momenti scuri della vita chiedono di rimanere fedeli alla luce che si è visto. Mettere in comune un lavoro per far diventare la carità un criterio di giudizio è fondamentale, fatelo continuamente dove e come volete ma state certi che non vi servirà solo il Banco  a fare maturare la personalità cristiana se sotto e accanto non crescerà un lavoro + esplicitamente fuinzionalizzato alla crescita della vostra personalità cristiana, che diventa matura quando la carità sperimentata in un momento privilegiato diventa il criterio con cui vivere e giudicare la vita

 

 

 

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